L’ultimo elfo di Silvana De Mari è un fantasy pubblicato da Salani nella collana Gl’Istrici nel 2004 e ha avuto un successo travolgente. L’anno dopo la pubblicazione ha vinto sia il Premio Bancarellino che il Premio Andersen nella categoria Libri 9/12 anni. Nel 2006 la versione francese ha vinto il Prix Imaginales nella categoria dei romanzi per ragazzi. Nel 2007 la versione in inglese è stata menzionata dall’American Library Association tra i migliori libri per l’infanzia tradotti.

L’ultimo elfo è stato tradotto in 22 paesi e la saga si è arricchita nel corso degli anni di un pre-quel, Io mi chiamo Yorsh, e di quattro sequel: L’ultimo orco, Gli ultimi incantesimi, L’ultima profezia del mondo degli uomini e L’epilogo.

Per i lettori compulsivi, c’è anche un pre-prequel, Arduin il Rinnegato, che fa da cappello all’intera saga.

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Il riassunto di “L’ultimo elfo”

L’incontro

In seguito all’inondazione che ha distrutto il Posto-per-elfi dove era stato confinato con la famiglia, Yorsh, un elfo nato-da-poco, vaga solo e disperato tra boschi e paludi. E’ indubitabilmente un elfo, per i grandi occhi azzurri e per il fatto di essere tutto vestito di canapa gialla. E’ solo, da quando la mamma e la nonna sono morte. E’ disperato, perché è fradicio, affamato e non sa dove andare. E’ anche iper-sensibile: in lui risuonano la paura della morte e il dolore di tutti i viventi delle terre stravolte dall’arrivo dell’Ombra.

Durante il vagabondare Yorsh incontra due umani – Sajra, una giovane donna accompagnata da un cane senza nome e il cacciatore Monser – che, superata l’avversione nei confronti della razza elfica, lo salvano.

Yorsh è ingenuo, candido e pure un po’ pasticcione. Non conosce bene la lingua umana e, esattamente come i piccoli della specie umana, non capisce l’ironia nei discorsi degli adulti, né la logica stringente. Ha però dei doni, come tutti gli elfi: sa come riportare in vita un coniglio ucciso dal cacciatore e riesce ad accendere il fuoco anche senza avere una miccia!

Pur consapevoli che è un rischio, Sajra e Monser si portano dietro il piccolo elfo nel loro viaggio verso la contea di Daligar, l’unica terra emersa nel raggio di miglia. 

In prossimità della città, i tre vengono catturati da una pattuglia di alabardieri in esplorazione e vengono portati al cospetto del Giudice-amministratore-delegato-di-galigar-e-dei-dintorni. All’inizio riescono a far credere di essere una famigliola, poi Yorsh ha la pessima idea di resuscitare una gallina in vendita al mercato e il giudice li condanna a morte per impiccagione.

L’antica profezia

In carcere Yorsh fa amicizia con i ratti che vivono nelle segrete e li convince a rubare le chiavi della cella e liberarli. Mentre fugge, insieme a Monser e Sajra, fa in tempo a leggere parte di un’antica profezia scritta a caratteri runici sulle pareti dei cunicoli.

Quando l’acqua sommergerà la terra,
il sole sparirà,
le tenebre e il gelo arriveranno.
Quando l’ultimo drago e l’ultimo elfo
spezzeranno il cerchio,
il passato e il futuro si incontreranno,
il sole di una nuova estate splenderà nel cielo.

L’iscrizione non è finita, ma Yorsh deve correre più veloce perché è inseguito dagli alabardieri e fa in tempo solo a leggere un ultimo frammento:

… e sposerà la fanciulla con la luce del mattino dentro il nome…

Fuggendo da Daligar, Sajra quasi annega nell’acqua del fossato che circonda le mura fortificate e Yorsh scopre di sapere salvare anche gli umani oltre che i piccoli animali con menti semplici.

Eppure i guai non sono finiti: non fanno nemmeno in tempo ad asciugarsi che i tre si trovano al cospetto di un troll e due giganti armati fino ai denti!

Il troll vorrebbe seguire la sua naturale inclinazione e divorare l’elfo, ma Yorsh è così entusiasta della sua statura, della sua forza e della sua incredibile bellezza, che il troll, lusingato ed emozionato dai primi complimenti ricevuti nel corso della sua esistenza, rinuncia ai suoi propositi, si accampa insieme ai fuggiaschi e addirittura smezza il pasto.

Sajra incomincia a capire come funziona la mente di un elfo: non solo ciò che è fuori dalla mente dell’elfo risuona al suo interno – e questo spiega la compassione di Yorsh per tutte le creature viventi – ma anche ciò che è dentro la mente dell’elfo condiziona ciò che è fuori – e questo spiega perché l’euforia di Yorsh nei confronti del troll ha contagiato tutta la brigata.

La mattina seguente il gruppo si divide e ognuno prosegue per la propria strada.

Monser lancia un tema di discussione, l’antica profezia dell’ultimo drago e dell’ultimo elfo, e solo allora Yorsh si rende conto di essere l’ultimo della sua stirpe. Scoppia il dramma.

La mappa

Gli umani decidono di fermarsi in mezzo a una radura in cui sorge una torre diroccata al cui interno è cresciuta una quercia. Monser conosce quel luogo per averlo visto su una pergamena. Anche Yorsh lo conosce, perché sta indicato nella mappa che suo padre Gornonbenmayerguld – un elfo esploratore – ha disegnato e che costituisce, oltre a tre pietre d’oro, la sua unica eredità.

Nella mappa sono segnati il Posto-per-elfi isolato in una landa desolata; a sud-ovest la contea di Daligar attraversata dal fiume Dogon; ancora più a ovest il villaggio di Arstrid e ancora oltre la caverna del Drago. Al di là della città di Erbrow, oltre le Montagne Oscure, infine, il mare.

L’idea che il babbo gli abbia disegnato una mappa per aiutarlo a trovare l’ultimo drago riempie di dolcezza e di amore il cuore del piccolo elfo.

Il piccolo elfo ebbe l’impressione di essere diventato meno orfano. Era una sensazione curiosa. Come se la solitudine fosse un muro di vetro che per la prima volta mostrava incrinature e crepe. Era l’ultimo di una stirpe distrutta, ma dal passato gli arrivava un po’ dell’affetto che il presente gli negava. Le sue dita passavano e ripassavano sugli oggetti: erano stati fatti per lui; gli erano stati lasciati. Qualcuno gli aveva voluto bene mentre li faceva, mentre glieli lasciava.

Il viaggio ricomincia e il terzetto arriva al villaggio di Arstrid, poche case abitate da persone operose e pacifiche, dedite alla pesca, all’agricoltura e al commercio.

Utilizzando le tre pepite d’oro, Monser acquista una barca per navigare lungo il fiume, un abito di lana indaco per Yorsh e un po’ di viveri.

Prima di lasciare il villaggio, i tre vengono a sapere che il padre di Yorsh era passato per Arstrid e aveva venduto per tre pepite d’oro il calderone dell’abbondanza e della concordia. Gli abitanti, ovviamente, lo ricordano come un benefattore, dato che da quel giorno non hanno più conosciuto la fame, né sono stati lacerati da discordie; Yorsh, invece, si chiede perché suo padre non abbia tenuto il calderone magico per aiutare la sua, di stirpe.

Inizia la navigazione verso la grotta del drago e per giorni i tre si godono acque placide, vestiti asciutti, riposo e cibo. Man mano che si avvicinano alla meta le acque diventano, però, più impetuose e in prossimità di una cascata sono costretti ad abbandonare la barca e proseguire a piedi.

La grotta del drago

Arrivati alla base della montagna su cui vive il drago, non resta che salire.

Gradino dopo gradino Yorsh, Monser e Sajra arrivano alla grotta su cui leggono un’iscrizione in caratteri runici che impone ai visitatori di non sputare, correre, fare briciole e parlare forte e li obbliga a lavarsi le mani.

Dietro il portone li attende il vecchio drago, l’ultimo della sua stirpe, da centinaia di anni custode di un tesoro di inestimabile valore: la più grande biblioteca della seconda dinastia runica! Ormai vecchissimo, malato e quasi privo di forze, si nutre esclusivamente di fave cresciute all’interno della caverna grazie al calore che sprigiona un vulcano in continua eruzione.

Yorsh capisce tutto al volo: per coltivare le fave di cui si nutre, il drago ha spostato il masso che ostruiva il cratere del vulcano e da allora il fumo e le ceneri che continuamente fuoriescono dalla caldera hanno coperto il sole, provocato le inondazioni torrenziali e ridotto le popolazioni alla fame e nella miseria.

Yorsh è indignato col drago per il suo egoismo e gli chiede di tappare nuovamente il cratere. In cambio, è disposto a prendersi cura di lui per il resto della sua vita. Il ciclo di ceneri-oscuramento del sole-pioggia è il cerchio che deve spezzarsi. La cura del drago da parte del piccolo elfo è il compimento della profezia. Solo così le terre usciranno dall’Era del Fango.

Il drago accetta e confida che l’idea gliela aveva data l’elfo che era andato a visitarlo tanto tempo prima, un elfo adulto.

Per Yorsh il colpo è durissimo:

Suo padre era stato lì, aveva avuto la possibilità di fermare le tenebre, ridare la giusta pioggia, ridare il giusto sole al mondo, arrestare la carestia e la miseria del mondo e non lo aveva fatto. Era tremendo, orrendo, atroce, inimmaginabile, indicibile, incredibile… Il piccolo elfo stava sperimentando una delle emozioni più squallide del creato: vergognarsi dei propri antenati. La faccia gli crollò. Gli occhi gli si stinsero, l’anima gli si riempì di pena e la magia ci annegò dentro.

La separazione e il nuovo inizio

Altro colpo durissimo glielo infliggono i due umani, che decidono di riprendere il cammino. La separazione del terzetto dura lo spazio di una notte.

Il mattino seguente Sajra convince Monser a tornare sui propri passi e insieme tornano alla grotta. Qui ritrovano Yorsh felice come un aquilotto che ha appena imparato a volare ed era in mezzo a una serie di palle che giravano in cerchi disuguali, obliqui e allungati, attorno a una palla centrale, che a sua volta ruotava su se stessa.

In una delle stanze più interne ha scoperto alcune pergamene, in cui suo padre aveva dato una spiegazione scientifica al moto delle stelle, al passaggio di una cometa e al cambiamento del clima.

La conclusione era che la variazione del clima era successa perché era successa, senza colpa di nessuno, e stava sparendo perché il momento era venuto che tornasse tutto normale, senza merito di nessuno. Il vulcano non c’entrava niente. 

Soprattutto, suo padre non c’entrava niente.

Il primo libro si conclude con Yorsh che decide di restare col drago per realizzare la profezia.

Monser e Sajra, invece, ripartono. Con il cane che finalmente ha un nome: Fido, perché è sempre fedele e affidabile. Il drago dona loro un bel po’ di gemme e pepite d’oro, per lui inservibili in quanto non commestibili.

Monser e Sajra invece potranno utilizzarle per comprare un po’ di terra, una vigna, un po’ di grano, qualche pannocchia, qualche gallina… e magari crescerci una figlia.

La recensione di “L’ultimo elfo”

L’ultimo elfo è un fantasy eccezionale, nel senso che “fa eccezione” alle norme prescritte per il genere,

  • in primo luogo perché fonde l’epicità della storia a un irresistibile umorismo e alterna uno stile solenne e descrittivo a toni ironici e leggeri
  • poi perché ha il merito di aver raggiunto il target adulti, che spesso storce il naso di fronte al fantasy.

Se la storia e l’ambientazione sono perfetti per lettori a partire dai 10-11 anni, decifrare i simboli e riconoscere le figure archetipiche che la De Mari – psicoterapeuta – dissemina nel testo è una sfida piacevole per i lettori più navigati.

Il viaggio di Yorsh si presta, infatti, ad essere interpretato non solo come un viaggio fisico, ma anche e soprattutto come un viaggio interiore dove la palude, il bosco, l’incontro con la giovane donna e con l’uomo forte, la fedeltà del cane… sono forme archetipiche che simboleggiano gli ostacoli da superare, gli aiutanti e la costanza nel perseguire i propri obiettivi.

Così come l’evoluzione di Yorsh da allievo a maestro si presta a essere interpretato come il cammino – accidentato, ma unico e irripetibile – che porta l’essere umano a uscire dall’infanzia per entrare all’adolescenza.

La scheda editoriale

  • Titolo: “L’ultimo elfo”
  • Autore: Silvana De Mari
  • Casa editrice: Salani
  • Età di lettura: dagli 11 anni
  • Consiglio di lettura: per gli appassionati del genere fantasy che troveranno rispettati tutti i canoni del genere e per chi vuole avvicinarsi al genere, perché è un bellissimo inizio!

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