Chi mi segue con regolarità sa che ho un debole per i romanzi storici, soprattutto per le war stories. Ho letto volentieri Il canto degli spiriti inquieti di Alessio Fabbri edito da GoWare disponibile in formato e-book, cartaceo e audiolibro.
In questo romanzo, il focus non è tanto sulla macrostoria e/o sulle microstorie durante gli eventi bellici, quanto piuttosto sul “dopo”. Così la vicenda del protagonista diventa paradigmatica di cosa ne fu dei reduci della Prima Guerra Mondiale, che vita ebbero, come si reinserirono nella società “civile”, se ritrovarono mai una sorta di “normalità”.
Riassunto e recensione di “Il canto degli spiriti inquieti”
Siamo alla stazione di Milano, nel 1918.
La vita di Alessandro Bonforte è a un bivio: la Grande Guerra è alle spalle e c’è la possibilità di cominciare una nuova vita. Man mano che il viaggio in treno verso Firenze procede, riaffiorano i ricordi prebellici – la vita familiare, i rapporti umani, il primo amore, la chiamata alle armi, il doloroso distacco da casa e dagli affetti – e le visioni (gli spiriti inquieti) prendono il sopravvento.
Il viaggio fisico si interseca col viaggio emotivo e psicologico.
Alessandro, irrequieto, compie un viaggio dentro di sé e le stazioni si chiamano ombre del passato, nubi del presente, vuoto del futuro. Alla fine del viaggio il puzzle emotivo e psicologico è ricomposto e tutto il disegno è intelligibile.
L’ambientazione del romanzo è storicamente attendibile grazie al lavoro di lettura di lettere di soldati che combatterono la Prima Guerra Mondiale e dei documenti sulla logistica del conflitto che ha impegnato l’autore per molti mesi.
Lo stile deve qualcosa a Dino Campana, che l’autore omaggia nella prefazione al libro.
Per chi vuole saperne di più sull’autore, consiglio di dare un’occhiata
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