Maus di Art Spiegelman è un graphic novel così ricco di temi e suggestioni da prestarsi a vari piani interpretativi.

E’ la storia di un fumettista emergente americano che si confronta con il suicidio della madre e con la figura del padre, sopravvissuti alla Shoah, cercando al tempo stesso di tramandare la memoria dell’Olocausto attraverso la realizzazione di un’opera narrativa a fumetti. Non poco, insomma. 

Si compone di due parti:

  1. Mio padre sanguina storia, 6 capitoli in cui Art mostra il  peggioramento delle condizioni di vita degli ebrei polacchi negli anni immediatamente precedenti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale,
  2. E qui sono cominciati i miei guai, 5 capitoli sulla vita dei deportati all’interno dei campi di concentramento.
maus cover
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Il riassunto di “Maus”

Mio padre sanguina storia

Art Spiegelman, detto Artie, è un fumettista emergente americano sposato con Françoise, francese convertita all’ebraismo. Artie, infatti, è ebreo da parte della madre, Anja, morta suicida nel 1968, e suo padre, Vladek, anche lui ebreo, non avrebbe mai e poi mai accettato che sposasse una “gentile”. 

Vladek è, infatti, un tipo particolare. Da giovane fu un uomo d’affari scaltro, dotato di grande intraprendenza e spirito di adattamento, doti che gli consentirono di sfuggire alle persecuzioni naziste, prima, e alla reclusione nei campi di concentramento in seguito. Ora è anziano, malato e profondamente segnato dall’esperienza nel lager e dal suicidio della moglie. Tirchio, attaccato ai beni materiali, egoista, addirittura razzista, logora tutti coloro che gli vivono accanto, a partire dalla seconda moglie Mala.

In un viaggio a ritroso nel passato, che è un modo per ricostruire la storia di un periodo ben preciso, la vita della sua famiglia, il suicidio della madre e risolvere i suoi problemi esistenziali, Art inizia a interrogare il padre sugli anni della sua giovinezza fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale e man mano che il vecchio parla, ne disegna la storia, utilizzando dei topi per raffigurare gli ebrei.

La scelta degli abbinamenti gli è ispirata proprio da un giornale di propaganda dell’epoca dove compariva la frase

“Mickey Mouse è il più miserevole ideale mai esistito? I sentimenti salutari dicono ad ogni giovane indipendente e a ogni persona dignitosa che il parassita sporco e immondo, il peggiore portatore di malattie del regno animale, non può essere il tipo ideale di animale? Basta con la brutalizzazione giudaica della gente! Abbasso Mickey Mouse! Indossate la svastica!” 

Una volta scelti i topi per gli ebrei, scovare l’animale adatto per i tedeschi quindi non gli è difficile: i gatti per i nazisti, i maiali per i polacchi, i cani per gli americani, le renne per gli svedesi, le rane per i francesi, tranne che Françoise che è rappresentata come una coniglietta.

La narrazione inizia dal’35 quando Vladek è un bel ragazzo che vive e fa affari a Czestochowa, nella natia Polonia, ed esce spesso con Lucia, una bella ragazza ebrea di umili origini.

Durante una visita ai parenti di Sosnowiec conosce Anja, che fa parte di una famiglia molto ricca e  bene in vista, dato che suo padre è un industriale tessile di successo. Anja si innamora di Vladek e suo padre gli promette di aiutarlo a mettere su una fabbrica tutta sua dopo il matrimonio con la figlia.

Vladek è intenerito dalla buona e fragile Anja, ma in un primo tempo continua a frequentare anche Lucia che fa di tutto per ostacolare il loro rapporto. Nel ’37 comunque Anja e Vladek si sposano e pochi mesi dopo hanno il loro primogenito, Richieu. Dopo il parto Anja ha un esaurimento e così i coniugi lasciano in affidamento il neonato ai nonni e partono insieme per una clinica svizzera dove nel giro di qualche mese Anja si rimette.

Al ritorno in Polonia, Anja sta bene ma Vladek è chiamato alle armi, perché nel frattempo la Polonia è stata invasa dai nazisti ed è scoppiata la Seconda Guerra Mondiale. Il racconto passa dai toni allegri e spensierati degli anni d’oro in cui gli Spiegelman avevano una bella casa, molti soldi ed un bel bambino, ai primi tragici avvenimenti che sconvolsero la loro vita. 

Nel ’40 Vladek ritorna a casa, dopo essere stato fatto prigioniero di guerra, e si accorge che, nel frattempo, la situazione è precipitata. Nell’arco di pochi mesi, con l’entrata in vigore delle prime leggi razziali, i nonni di Anja vengono deportati e gli Spiegelman devono rinunciare a tutte le proprietà, sono relegati in ghetti e iniziano una vita fatta di espedienti e di bunker, di cibo scarso e traffici al mercato nero.

Nel ’43 Vladek e Anja si risolvono a lasciar andar via il primogenito Richieu insieme alla zia Tosha e ai cuginetti a casa di una famiglia polacca, un posto considerato più sicuro, ma dopo poco la situazione precipita drammaticamente: nel corso di un rastrellamento, Tosha preferisce ingerire e far ingerire ai bambini del veleno mortale piuttosto che essere deportata.

Nel ’44, convinti di fare la cosa giusta, Anja e Vladek tentano di passare il confine con l’Ungheria ma durante il viaggio sono catturati e portati ad Auschwitz / Mauschwitz. Davanti ai cancelli del lager si chiude il primo capitolo del libro.

E qui sono cominciati i miei guai

Nel secondo libro sono più chiari i due livelli della storia: quella di Vladek, che narra al figlio le vicende sua e di Anja nel campo di concentramento, e quella di Artie, che racconta al lettore come vive la sua condizione di figlio di un sopravvissuto e di una madre suicida e fratello di un bambino perfetto, che i genitori hanno sempre mitizzato e adorato.

I due piani sono spesso intersecati e in alcune parti si susseguono senza soluzione di continuità tavole sulla difficile convivenza tra padre e figlio, ognuno con il suo modo di vivere, tavole su Vladek, il sopravvissuto segnato dall’Olocausto, e tavole su Artie, cresciuto nella tranquilla New York degli anni Sessanta ma lacerato da insicurezze e risentimenti.

Vladek racconta al figlio tutto l’orrore della vita ad Auschwitz in modo apparentemente sconclusionato. Non segue l’ordine cronologico in cui si sono svolti i fatti, ma focalizza il ricordo sul modo in cui sopravviveva: come si procurava il cibo e si puliva, quali lavori faceva (lo stagnaio, il calzolaio, l’insegnante di inglese e lavori ‘sporchi’), come si sottraeva alle selezioni, come cercava di mantenere i contatti ed aiutare Anja, deportata nel campo femminile di Birkenau. Il tutto con la speranza di poterne/doverne uscire vivo.

Gli racconta anche come tanti suoi amici e conoscenti sono morti: di percosse, di fatica, di malattie, di fame, di freddo, di pazzia, nelle camere a gas, o durante i tentativi di evasione, aizzati dai nazisti in cerca di una scusa per seviziare e uccidere coloro che loro stessi invitavano a scappare.

Artie è investito in pieno dai ricordi del padre e in lui maturano tanti sentimenti diversi: il senso di colpa per non aver vissuto la persecuzione, il disagio nei confronti del fratello morto, la nostalgia della madre, la compassione per il padre, così vecchio e malato, ma anche il disprezzo che nutre quando Vladek si dimostra gretto, razzista, avaro, egoista, il senso di impotenza nei confronti della Storia, l’ansia e la paura di non essere in grado di raccontare adeguatamente quello che ha saputo sull’Olocausto. 

La situazione personale precipita quando Mala, esasperata, abbandona Vladek, che costringe il figlio e la nuora a trasferirsi da lui durante le vacanze estive con la scusa di aver avuto un attacco di cuore: Artie tocca il fondo e va in cura da uno psicoterapeuta.

La storia raccontata da Vladek si conclude con la descrizione della liberazione del campo di Auschwitz / Mauschwitz e del viaggio di ritorno, lungo, faticoso e, per molti compagni di prigionia, mortale. Vladek contrae il tifo e impiega mesi nella ricerca di Anja. Quando finalmente la ritrova, intraprende con lei una nuova vita, prima in Svezia e poi in America. La storia raccontata da Artie invece si chiude con il ritorno di Mala e la morte di Vladek avvenuta nel 1982. Nel frattempo, Maus è stato pubblicato ed è divenuto un successo mondiale. Successo col quale Artie fatica a misurarsi.

La recensione di “Maus”

Maus è il racconto della storia di una famiglia ebrea sullo sfondo della più immane tragedia del Novecento: l’olocausto. La forma è quella del fumetto in cui gli ebrei sono topi (maus in tedesco) e i nazisti gatti. Tranne che nel caso degli ebrei, tutti gli altri protagonisti sono rappresentati sotto forma di animali per nazionalità: quindi tutti gli americani sono cani, tutti i francesi conigli e così via.

Maus parla anche del tormentato rapporto tra Art Spiegelman ed il padre, protagonista del racconto: Art è uno dei personaggi del graphic novel e ilpadre è ritratto ormai anziano, tra gli anni ’70 e ’80.

Pubblicato a puntate negli Stati Uniti tra il 1980 ed il 1991, Maus ha vinto nel 1992 uno Special Award del premio Pulitzer, il massimo riconoscimento giornalistico mondiale. Successivamente è stato tradotto in una ventina di lingue.

Per chi vuole approfondire, in rete si trovano molti contributi assolutamente pertinenti e ben scritti. Ad es.

La scheda editoriale

  • Titolo: “Maus
  • Autore: Art Spiegelman
  • Casa editrice: Einaudi
  • Età di lettura: dai 13 anni in su
  • Consiglio di lettura: Per chi vuole rendersi conto di cosa fu l’Olocausto.