Quando arriva la polizia mi trova in tasca cinquanta pastiglie di ecstasy, tre milioni in contanti e anche del fumo che non mi ricordavo di avere e così vado al Minorile – sette mesi – con il naso rotto e l’orgoglio a pezzi e dopo quindici giorni mi arriva quell’unica lettera di Maristella che dice: sei il solito stronzo, e questa volta ha ragione lei.
Inizia così la bella storia che Francesco D’Adamo ci racconta in Mille pezzi al giorno, un libro destinato a giovani lettori che tratta argomenti importanti in modo semplice, ma senza bamboleggiare o edulcorare la realtà.
I temi, attualissimi, sono l’immigrazione clandestina e lo sfruttamento del lavoro nero anche minorile per la produzione e lo smercio di griffe taroccate.
Il riassunto di “Mille pezzi al giorno”
Leo vive al Viale, un rione anonimo dell’estrema periferia milanese, uno di quei posti dove non c’è mai niente da fare.
A Leo non piace studiare e considera la scuola una perdita di tempo, perché è convinto che la vita te la insegna la strada. A casa meno ci sta e meglio è, tanto con i suoi genitori non parla. Con il padre non si prende proprio e la madre sembra messa lì giusto per pulire, cucinare e fare da ammortizzatore tra lui e suo padre.
Meno male che ci sono gli amici e soprattutto lei, Maristella. Bella e tosta. Con due gambe lunghe lunghe e un caratterino mica facile da gestire. Una brava ragazza, seria, mica una di quelle che ci stanno già alla prima volta. Ha ripreso gli studi che aveva interrotto, ragioneria, e lavora mezza giornata in un negozio, come commessa.
Leo invece non ha né il tempo né la voglia di cercarsi un lavoro onesto, ad esempio in fabbrica, come ha fatto suo padre. Tanto più che suo padre è finito in cassa integrazione, bella carriera. Senza contare che quello che Maristella porta a casa in un mese, lui lo guadagna in meno di una settimana. Come? Spacciando in discoteca, ovvio.
Che poi, a dire il vero, non si tratta proprio di ‘spaccio’. Spaccio significa vendere ero o neve; Leo vende solo ecstasy. E’ il lavoro più facile al mondo. Basta entrare in discoteca regalando qualche pastiglia al buttafuori e attendere che siano i clienti a cercarti. Poi tutto viene di conseguenza: i soldi, la moto, i bei vestiti, il rispetto quelli del quartiere, ecc. ecc.
L’unico problema è se ti fai beccare come un fesso. Ecco, se capita che la pula ti becca, 7 mesi “al gabbio” non te li cava nessuno. E sono mesi che ti cambiano la vita.
Quando Leo esce incontra un benefattore – il signor Arisi – che gli offre uno stipendio e una casa dove poter vivere con Maristella in cambio di un lavoro molto semplice: occuparsi giornalmente degli approvvigionamenti di materie prime della sua fabbrica e della distribuzione dei pezzi finiti, che devono essere mille al giorno. Non uno di meno.
Leo non deve preoccuparsi della sorveglianza degli operai – donne e ragazzi, clandestini dell’est, che lavorano giorno e notte per produrre merci contraffatte. A quello ci pensa già Milan, uno di loro, che sa bene come trattarli.
Leo vuole ancora fare la bella vita, che male c’è? Gli immigrati non gli sono mai piaciuti un granché. Poi, alla fine, nessuno li costringe a fare quella vita lì.
Spinto dal desiderio di riscattarsi e della lusinga dei soldi facili, Leo si mette al servizio di gente senza scrupoli, che sfrutta i clandestini facendoli lavorare per 18 ore al giorno, in condizioni igieniche spaventose, negando loro ogni diritto, perfino quello alla dignità umana.
Certo qualche dubbio su ciò che sta facendo Leo ce l’ha. Glielo fanno venire Maristella, che non crede alle cose facili, e suo padre, che dubita che questo lavoro sia un’opportunità. Poi il pianto di un vecchio bosniaco – uno dei tanti che entrano in Italia viaggiando nascosti nei camion – lascerà Leo solo con il suo senso di vergogna e l’amaro in bocca. E infine le violenze inflitte a un gruppo di operaie gli faranno scattare la molla di chiamarsi fuori da questo schifo.
Leo troverà il coraggio di ribellarsi e di scegliere da che parte stare.
La recensione di “Mille pezzi al giorno”
Insieme ai temi dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento del lavoro minorile, D’Adamo affronta il tema del degrado delle periferia, della marginalizzazione delle fasce deboli e dell’indifferenza strisciante in gran parte della popolazione che si gira dall’altra parte e finge di non vedere il destino che attende i clandestini.
Nonostante ciò, Mille pezzi al giorno non è un libro senza speranza: Leo matura e ha il coraggio di fare la cosa giusta, qualche immigrato si salva, qualche carogna finisce in galera.
D’Adamo, poi, è sempre bravissimo a vestire i panni dei ragazzi e ad utilizzare il loro linguaggio in modo realistico e coinvolgente. Non poco per un libro.
La scheda editoriale
- Titolo: “Mille pezzi al giorno”
- Autore: Francesco D’Adamo
- Casa editrice: EL
- Età di lettura: dai 12 anni
- Consiglio di lettura: a chi piacciono i romanzi che affrontano temi di attualità
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