Eccoci di nuovo in compagnia dell’immensa Polleke, il personaggio di Guus Kuijer che, dall’alto dei suoi 11 anni, ha tantissime cose da insegnare a tutti, adulti compresi. La più importante: la capacità di attraversare i problemi con il cuore leggero e il sorriso sulle labbra di chi sa godersi anche le cose belle della vita.

La storia raccontata in Mio padre è un PPP riprende dal punto esatto in cui era finita nel libro precedente, Per sempre insieme, amen che terminava con Polleke in un equilibrio apparente: la lite con Mimun si era appianata, la madre sembrava essere diventata un po’ più concreta e stabile, i nonni le avevano regalato una vitellina, era riapparso nella sua vita Spik, il padre-poeta. 

Un equilibrio che ci sembrava precario, soprattutto a causa di Spik, che a detta di Polleke era semplicemente “rimasto senza parole”, ma in realtà dei casini da vendere! In questo secondo libro della serie scopriamo quali.

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Il riassunto di Mio padre è un PPP di Guus Kuijer

Tina, la mamma di Polleke, e Walter, il suo maestro, hanno deciso di sposarsi e così organizzano l’incontro fra le rispettive famiglie. Visto che Walter ha solo la mamma e Tina ha solo Polleke, tutto si risolve in una cena a quattro a casa della signora Builtezorg. L’atmosfera è tra l’ingessato e l’imbarazzato, forse perché Tina sembra un canarino nel suo vestito giallo acceso, forse perché Polleke non è in giornata.

Pochi giorni prima, infatti, ha rivisto Spik – il suo adorato padre-poeta – sempre più male in arnese, invischiato in cattive compagnie, dipendente dalla droga.

Per di più l’ha fatto entrare in casa, contravvenendo al divieto assoluto di mamma, e l’ha lasciato solo in cucina, dove è nascosto il barattolo dei risparmi. Polleke si è fidata, oppure ha voluto dargli un’altra possibilità.

Sta di fatto che prestissimo Tina si accorge che mancano dei soldi e Polleke – pur immaginando che fine abbiano fatto – piuttosto che incolpare Spik confessa di averli presi per comprarsi le liquirizie.

Quando Polleke rivede il padre, lo affrontarlo a muso duro, ma Spik la spiazza restituendole quello che considerava solo un prestito e promettendole che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riconquistare la sua fiducia.

Polleke gli chiede una poesia – una sola – a dimostrazione della sua buona volontà. Spik invece le scrive una lettera in cui confessa di non riuscire a essere un poeta – perché essere poeta è un talento e non un lavoro come un altro – e, ancora peggio, di non sapere nemmeno cosa stare a fare al mondo.

Ecco: cosa si deve fare al mondo? Per il maestro, al mondo ognuno deve fare del proprio meglio; per Mimun, al mondo ognuno deve lavorare per dare ai propri figli un futuro migliore. A Polleke sembra che la cosa più importante per Spik, nell’immediato, sia disintossicarsi ed è decisa a convincerlo.

Ma nel frattempo Spik dove è finito? A casa della terza compagna non c’è, perché si è fatto cacciare. In stazione, dove vivono gli altri senzatetto, nemmeno. E’ Mimun a trovarlo e a organizzare un incontro.

Spik accetta di entrare in comunità durante l’estate, se Polleke è disposta ad accompagnarlo. A Polleke va benissimo, ma nonna e mamma non la pensano così. L’aria in casa è pesante. Il nonno discute con la nonna perché pensa che Polleke sia abbastanza grande per scegliere. Tina è furiosa. Il maestro inizia a credere che Tina sia così animosa perché, in fondo, in fondo è ancora innamorata di Spik.

La situazione esplode durante una festa in maschera, quando Tina e Spik ballano insieme, il maestro si immusonisce e Polleke vede Mimun fare lo sciocchino con Caro, la sua migliore amica.

Dopo la tempesta torna la quiete. Tina si ammorbidisce nei confronti di Spik e lascia che Polleke trascorra l’estate insieme a lui, in comunità. Il maestro spiega a Tina che non vuole lasciarla, ma solo capire se i loro sentimenti sono reali, veri, forti. Mimun parte per il Marocco, ma nel frattempo si è riappacificato con Polleke. Spik, prima di entrare in comunità, passa a trovare i suoi genitori…

“Vuoi pregare anche tu?” mi ha chiesto il nonno.

“Sì” ho detto.

Abbiamo giunto le mani per la terza volta e chiuso gli occhi.

“Il sole e il mare si aprono lampeggiando,” ho pregato, “ventagli di fuoco e seta lungo montagne blu del mattino sfreccia il vento come un’antilope hoces pocus abracadabra e voilà vorrei che Spik fosse di nuovo qua. Amen”

La recensione di Mio padre è un PPP di Guus Kuijer

Anche Mio padre è un PPP è un libro delizioso e non delude le aspettative di chi aveva letto il primo libro della serie: Per sempre insieme, amen.

Al termine del primo romanzo, Polleke risolve i suoi problemi di cuore. Resta, invece, irrisolto il problema della tossicodipendenza di Spik, che in questo libro esplode in tutta la sua drammatica potenza e travolge la vita di una bambina che ha solo 11 anni.

Polleke scopre che Spik non è un poeta, è un tossicodipendente, di quelli davvero schiavi della droga, tanto da rubare i risparmi alla figlia. Eppure Polleke non è delusa dal suo Padre Particolarmente Problematico. E’ arrabbiata, forse. Ma non smette di amare il padre e vuole aiutarlo concretamente a scoprire “cosa ci sta a fare al mondo”.

Che dire, ancora? Alla prossima puntata, perché io non vedo l’ora di sapere come va a finire la storia di Polleke. Il terzo romanzo della serie è Un’improvvisa felicità. Vi consiglio di leggere tutti i libri in successione cronologica, perché le storie sono strettamente collegate tra di loro.

La scheda editoriale

  • Titolo: Mio padre è un PPP
  • Autore: Guus Kuijder
  • Editore: Feltrinelli
  • Età di lettura: dagli 11 anni
  • Consiglio di lettura: per chi vuole vuole scoprire che i padri a volte si dimenticano di essere i genitori, ma i figli non smettono mai di cercare il loro amore.

Il romanzo è in vendita sul sito dell’editore, negli store online e naturalmente anche nelle librerie. Se preferite farvelo arrivare comodamente a casa, ecco il link Amazon https://amzn.to/3TerMrL.

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