Le autobiografie, vere o immaginarie che siano, sono un autentico campo minato per il lettore incauto e sprovveduto. Molte annoiano profondamente, vuoi per lo stile didascalico, auto celebrativo, serioso, vuoi perché spesso le vite degli altri ci annoiano a prescindere. Alcune, invece, hanno il pregio di trasportarci in un altro luogo e in un altro tempo, facendoci entrare in un’altra pelle, facendoci vivere un’altra vita e lasciandoci pure qualcosa alla fine del viaggio.

Durante le vacanze natalizie, stravaccata sul divano, tra una tazza di tè alla cannella e una fetta di panettone, ho letto Peggy Guggenheim: la mia vita a colori, un piccolo libro che fortunatamente rientra nel secondo gruppo.

Chi parla è Peggy Guggenheim, una delle più grandi collezioniste d’arte della storia contemporanea. Sabina Colloredo ce ne racconta la vicenda umana, seguendola dalle soglie dell’adolescenza fino alla vecchiaia.

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Il riassunto di “Peggy Guggenheim: la mia vita a colori” di Sabina Colloredo

Incontriamo Peggy undicenne, a New York, secondogenita di una prestigiosa, ricchissima famiglia ebrea. Determinata, curiosa, diversissima dalla madre e dalle due sorelle, belle ma frivole, adora il padre. Le ore più belle le trascorre in sua compagnia, nella galleria privata, a parlare di pittura; da lui assorbe l’amore per l’arte. 

La vita di Peggy scorre tranquilla, tra tè, riunioni dell’eccentrica famiglia allargata, passeggiate al Central Park, fino al giorno in cui il padre muore durante il drammatico naufragio del Titanic.

“Tuo padre…”, lo zio non terminò la frase. Mi strinse tra le braccia, oscillando come se stesse per cadere, “Il Titanic è affondato. E tuo padre era sul Titanic, Peggy, ricordi? Il maledetto destino… aveva già prenotato su un’altra nave e poi…”
Lo scansai bruscamente.
“Papà è un ottimo nuotatore. Non è tipo da mollare così.”
“Peggy, è impossibile sopravvivere più di qualche minuto in quel mare di ghiaccio”, insistette lo zio, con dolcezza, “Papà è morto. Devi accettarlo.”
Pensai a mia madre che, ignara, sorrideva dal parrucchiere coi bigodini in testa.
“Se fosse morto l’avrei saputo”, dissi tra i denti.
Mi girai e raggiunsi Benita in giardino.

Dopo la tragedia, nulla è più come prima.

Peggy cambia drasticamente: rifiuta i modelli imposti dalla società e dal suo clan familiare, inizia a lavorare in una piccola libreria, frequenta una suffragetta, si schiera a favore dei lavoratori, frequenta personaggi del mondo dell’arte. Contemporaneamente, coltiva la sua passione, la vera eredità che il padre le ha lasciato: il collezionismo di opere d’arte.

Inizia una vita errabonda. Iniziano gli strapazzi sentimentali. A Parigi sposa l’artista Laurence Vail e ha due figli, Sinbad e Pegeen. Il matrimonio dura pochissimo, in compenso la vita mondana va a gonfie vele. Frequenta salotti, allestisce una piccola galleria e si avvicina alle avanguardie.

Mentre la collezione di Peggy cresce, Hitler sale al potere e alimenta venti di guerra. Peggy sa perfettamente che il Fuhrer disprezza l’arte contemporanea (arte degenerata, a suo dire) e inizia una corsa contro il tempo per acquistare e salvare più opere possibili. Oltretutto Peggy è ebrea.

Parigi veniva bombardata ogni giorno e la stazione riversava treni carichi di profughi che fuggivano dalle zone devastate dai tedeschi. Tolsi le tele dai telai, le imballai e saltai in macchina. Il Mostro avanzava. Tutti i miei amici erano già fuggiti. Giorni prima avevo iniziato una frenetica contrattazione col Louvre perché mi concedesse uno spazio per i miei artisti, nella località segreta dove stava raccogliendo le sue opere. Ma all’ultimo mi dissero di no, perché i quadri erano troppo moderni e pensarono che non valesse la pena metterli in salvo.

A tre giorni dall’arrivo dei tedeschi nella capitale, Peggy riesce a fuggire in America, portandosi dietro la collezione e un marito nuovo di zecca, il pittore surrealista Max Ernest. Fonda una galleria sulla 57esima strada e continua a viaggiare.

Divorzia ancora, e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale decide di tornare in Europa. Finalmente, si ferma a Venezia, dove acquista Palazzo Venier. Qui trasferisce la sua collezione di opere d’arte e trascorre gli ultimi anni, aiutando artisti emergenti. Ancora oggi possiamo visitare il museo Guggenheim.

La recensione di “Peggy Guggenheim: la mia vita a colori” di Sabina Colloredo

Peggy Guggenheim: la mia vita a colori è un ritratto a tutto tondo della più grande collezionista di opere d’arte contemporanea del Novecento. Sabina Colloredo ne ha messo in risalto non solo le passioni, le capacità e i talenti, ma anche le debolezze, gli sbagli e le incertezze. L’autrice ha fatto un discorso onesto sulle difficoltà che ha incontrato Peggy nel corso della sua esistenza, che sono poi le difficoltà che incontrano tutti coloro che partono alla ricerca del proprio destino seguendo percorsi non battuti.

L’edizione che vi presento è quella della casa editrice Einaudi Ragazzi del 2018. Il libro, però, era già uscito nel 2003 con il titolo Un’ereditiera ribelle. Vita ed avventure di Peggy Guggenheim nella collana Sirene della EL, una galleria di ritratti di personaggio femminili famosi, della storia recente o meno. L’anno successivo, con lo stesso titolo, era a catalogo della casa editrice Einaudi Ragazzi, nella collana Storie e rime.

La scheda editoriale

  • Titolo: Peggy Guggenheim la mia vita a colori
  • Autore: Sabina Colloredo
  • Casa editrice: Einaudi Ragazzi
  • Età di lettura: dai 9 anni
  • Consigli di lettura: per chi vuole legge un libro breve e divertente sulla figura di Peggy Guggenheim

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