Dieci piccoli indiani è probabilmente il primo titolo che ci viene in mente quando pensiamo a Agatha Christie. Scritto tra il giugno e il luglio del 1939, uscì prima come racconto a puntate sul quotidiano inglese Daily Express, poi fu pubblicato come libro in Inghilterra (Ten Little Niggers) e nel 1940 negli USA (And Then There Were None). In Italia arrivò dopo la guerra, nel 1946, quando venne pubblicato nella mitica collana Il Giallo Mondadori col titolo di … E poi non rimase più nessuno successivamente trasformato in Dieci piccoli indiani.

Con le sue 110 milioni di copie, Dieci piccoli indiani è il libro giallo più venduto in assoluto. La sua trama ha fornito materiale per la sceneggiatura di ben tre film. Almeno una decina sono i film ispirati al romanzo. E poi ancora serie televisive, episodi di cartoni animati, videogiochi e fumetti.

La sua autrice lo giudicava il libro più sfidante che aveva scritto. Perché? Perché isolati nella splendida villa di Nigger Island, si ritrovano dieci perfetti sconosciuti che accettano – per motivi diversi – l’invito di un misterioso benefattore. Ad attenderli non trovano nessuno, ma c’è un’inquietante filastrocca appesa sopra il caminetto di ciascuna camera in cui dieci poveri negretti muoiono uno dopo l’altro. E c’è una voce inumana e penetrante che li accusa di essere degli assassini.

Quando scopriranno di essere finiti in trappola, sarà davvero troppo tardi.

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Il riassunto di “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie

Anthony Marston, John Macarthur, Emily Brent, Lawrence Wargrave, William Blore, Edward Armstrong, Philip Lombard e Vera Claythorne vengono invitati a Nigger Island (per la sua forma che rassomiglia, in modo inquietante, alla testa di un negro), da un certo signor Owen, proprietario dell’unica abitazione sull’isola.

Gli invitati non si conoscono tra di loro e una volta arrivati scoprono che il signor Owen e sua moglie non sono presenti. Ad accoglierli vi sono i due domestici, i coniugi Thomas ed Ethel Rogers, che, come loro, non hanno ancora conosciuto il proprietario della villa.

Se quella fosse stata una vecchia casa, con travi scricchiolanti, ombre scure negli angoli e pareti foderate di legno, si sarebbe potuto percepire un senso di mistero, di imponderabile. Ma quella villa era la quintessenza della modernità.
Non c’erano angoli bui, nessun pannello che potesse celare una porta segreta, la luce elettrica rischiarava ogni cosa, tutto era nuovo, ben levigato e lucente. Non c’era nulla di strano, di sospetto. Nessuna atmosfera di mistero.

Il mistero aleggia però nelle camere da letto. In ognuna delle camere assegnate agli ospiti è appesa al muro una filastrocca che parla della morte di dieci piccoli negretti:

Dieci poveri negretti
se ne andarono a mangiar:
uno fece indigestione,
solo nove ne restar.

Nove poveri negretti
fino a notte alta vegliar:
uno cadde addormentato,
otto soli ne restar.

Otto poveri negretti
se ne vanno a passeggiar:
uno, ahimè, è rimasto indietro,
solo sette ne restar.

Sette poveri negretti
legna andarono a spaccar:
un di lor s’infranse a mezzo,
e sei soli ne restar.

I sei poveri negretti
giocan con un alvear:
da una vespa uno fu punto,
solo cinque ne restar.

Cinque poveri negretti
un giudizio han da sbrigar:
un lo ferma il tribunale,
quattro soli ne restar.

Quattro poveri negretti
salpan verso l’alto mar:
uno un granchio se lo prende,
e tre soli ne restar.

I tre poveri negretti
allo zoo vollero andar:
uno l’orso ne abbrancò,
e due soli ne restar.

I due poveri negretti
stanno al sole per un po’:
un si fuse come cera
e uno solo ne restò.

Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:
ad un pino si impiccò,
e nessuno ne restò.

A cena, sul centrotavola di cristallo posto al centro del grande tavolo rotondo, gli ospiti vedono dieci statuette di porcellana che senza alcun dubbio rappresentano i dieci negretti della filastrocca.

Dopo la cena, mentre i presenti si intrattengono tra di loro, una Voce inumana e penetrante proveniente da un grammofono incolpa tutti i presenti di aver commesso un omicidio, citando le date degli omicidi e i nomi delle vittime.

Sconvolti dalle accuse, i presenti tentano di discolparsi raccontando le vicende che li hanno visti protagonisti dal loro punto di vista. Solo il giovane Anthony Marston ribadisce orgogliosamente che la vita vissuta osservando le leggi è troppo meschina e, dopo aver brindato al delitto con un bicchiere di whisky e soda, muore improvvisamente. Constatato il decesso, il dottor Armstrong conclude che nel bicchiere di Marston c’era del cianuro e che certamente si è trattato di suicidio.

Mentre tutti si ritirano nelle loro camere, Rogers nota che manca una statuina dal centrotavola.

La mattina seguente è la signora Rogers a essere trovata morta nel suo letto. Armstrong, per la seconda volta, dà una spiegazione logica al decesso, che imputa a una dose massiccia di sonniferi. A molti, però, l’ipotesi di un doppio suicidio nell’arco di poche ore appare improbabile, sia perché le due morti erano troppo simili a quanto descritto nelle prime due strofe della filastrocca, sia perché dal centrotavola è nel frattempo sparita un’altra statuetta.

Presi dal panico, Armstrong, Lombard e Blore esplorano l’isola per trovare un’imbarcazione che li riporti sulla terraferma, ma ben presto si rendono conto di essere soli sull’isola e il barcaiolo che li ha accompagnati e che quotidianamente doveva portare posta e provviste non si sarebbe più presentato.

Tornati a casa per la colazione, i tre notano l’anziano generale Macarthur seduto in riva al mare, come incurante della tempesta che si sta avvicinando. Armstrong gli si avvicina e nota che Macartur è morto per un colpo inferto con un oggetto contundente. In casa, intanto, tutti si accorgono che dal centrotavola manca un’altra statuetta. Mentre il cadavere del generale viene trasportato in camera sua scoppia una violenta tempesta, che da quel momento in poi rende impossibili le comunicazioni con la terraferma.

I presenti credono che l’assassino si trovi tra di loro e avviano un’indagine interna. La tensione cresce e tra liti, accuse e mezze confessioni tutti ammettono di essere responsabili delle morti loro attribuite.

La mattina seguente è il signor Rogers a venire trovato morto in seguito a un colpo di accetta in testa. Anche questa morte coincide con una strofa della filastrocca e anche in questo caso una delle statuette del centrotavola è scomparsa.

Del delitto è sospettata Emily Brent, perché è l’unica ad averne avuto l’occasione, mentre gli altri dormivano. Finché la Brent quel giorno stesso non viene trovata morta in poltrona in seguito a un’iniezione di cianuro di potassio, eseguita con la siringa di Armstrong. Da questo momento i sospetti ricadono sul dottore.

I superstiti decidono, quindi, di chiudere in una cassetta di sicurezza i medicinali e le armi che hanno con sé e di muoversi insieme. Solo una persona alla volta potrà lasciare il gruppo. Tutti consegnano le loro armi, tranne Lombard che afferma di non trovare più la pistola di sua proprietà.

Senza provviste, senza possibilità di comunicare con l’esterno, senza corrente elettrica, i sopravvissuti salgono nelle proprie camere. Vera si sente toccare il collo da quella che le sembra una mano bagnata e chiama gli altri in aiuto. Arrivati di corsa, notano che c’è un’alga che penzola da un gancio fissato al soffitto. Contemporaneamente notano l’assenza del giudice Wargrave. Tornati in salotto lo trovano seduto in poltrona, con la parrucca da giudice e un foro di proiettile in fronte, forse esploso della rivoltella scomparsa.

Sempre più sospettosi l’uno dell’altro, i quattro superstiti si barricano ognuno nella propria stanza.

Durante la notte Blore sente un rumore di passi, esce dalla sua camera, corre in cima alle scale e vede una persona uscire di casa, quindi va a chiamare gli altri, ma non riceve risposta da Armstrong, perciò tutti arguiscono che la persona fuggita sia lui.

Blore e Lombard dicono quindi a Vera che dovrà aspettare in camera il loro ritorno e aprire la porta solo se entrambi le chiederanno di farlo. Dopo un po’ i due bussano nuovamente alla porta di Vera dicendole che non hanno trovato il dottore.

Il giorno dopo i tre si recano sulla spiaggia, credendola il luogo più sicuro. Blore torna a casa a prendere del cibo, ma tarda a tornare. Vera e Lombard si dirigono a loro volta verso la casa per cercarlo e lo trovano con il cranio fracassato da un orologio incastonato in un blocco di marmo a forma di orso.

Tornati sulla spiaggia, Vera e Lombard trovano tra gli scogli il cadavere di Armstrong e, rimasti soli sull’isola, si accusano reciprocamente di essere l’assassino. Vera riesce a sottrarre a Lombard la pistola e lo uccide. Euforica per essere sopravvissuta, rientra in casa, butta dalla finestra due delle tre statuette rimaste e, stringendo in mano l’unica rimasta intatta, si dirige in camera sua.

Ormai sconvolta dagli avvenimenti, Vera rivive la vicenda di Cyril Ogilvie Hamilton, un bambino affidato alle sue cure che aveva lasciato annegare perché l’eredità di cui era destinatario andasse a suo zio, Hugo, l’uomo con cui sognava di costruirsi un futuro. Giunta nella stanza, Vera vede che dal gancio a cui era stata appesa l’alga ora pende un cappio e vi è anche una sedia pronta per essere utilizzata. Lasciando cadere l’ultima statuetta, la giovane si impicca.

Nell’epilogo i detective Maine e Sir Thomas Legge analizzano il mistero delle morti avvenute a Nigger Island, formulando varie ipotesi che non collimano però con i reperti sulla scena del delitto. L’enigma resta perciò irrisolto, finché il capitano di un peschereccio non invia a Scotland Yard una lettera trovata all’interno di una bottiglia in mezzo al mare.

La lettera è stata scritta dal giudice Wargrave e contiene la confessione in merito ai fatti avvenuti a Nigger Island. Animato da un grande senso di giustizia e ormai malato terminale, Wargrave aveva convocato nove persone che, pur avendo commesso un omicidio, erano riuscite a sfuggire alla legge per mancanza di prove. Aveva giustiziato per primi coloro che si erano macchiati di un crimine meno grave, mentre aveva lasciato per ultimi quelli che avevano commesso l’omicidio deliberatamente, per farli soffrire il più possibile, rendendoli pazzi di paura al termine di un gioco psicologico perverso.

Rimasto solo, si era poi tolto la vita nello stesso modo in cui sembrava che fosse stato ucciso inizialmente, ovvero sparandosi in fronte, e per depistare gli inquirenti aveva fatto in modo che, dopo lo sparo, la pistola legata a un elastico cadesse lontano dal suo corpo.

La recensione di Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie

Dieci piccoli indiani è il romanzo più celebre di Agatha Christie eppure, paradossalmente, non può certo essere definito “un giallo classico”. C’è una serie di omicidi, certamente, ma non ci sono investigatori né indagini, che nel giallo classico svolgono la funzione di svelare la verità e ripristinare l’ordine. Alcuni lettori ritengono che anche il finale – la confessione dell’assassino, affidata ad una bottiglia gettata in mare – sia davvero improbabile.

Allora, dove risiede il segreto del successo di questo romanzo? Probabilmente nel fatto che la storia che la Christie ci racconta è un “esperimento sociale” e uno “studio psicologico” che scandaglia come la mente umana reagisce a situazioni di stress estremo.

L’autrice mette in scena dieci perfetti sconosciuti costretti a convivere in una villa su un’isola piccolissima e lontana dalla terraferma. Non si conoscono tra di loro e non conoscono nemmeno il loro ospite, che non li accoglie all’arrivo. In ogni camera da letto è appesa sul camino una filastrocca di dieci negretti che muoiono uno dopo l’altro e nella sala da pranzo, sul tavolo, ci sono dieci statuine di negretti. Fin qui tutto abbastanza bene: la situazione è strana, ok, ma a parte un sottile senso di inquietudine niente di che.

La prima situazione stressante è scatenata dalla Voce di U.N. Owen (Unknown), imperiosa e terribile, che condanna a morte i suoi invitati per essere assassini sfuggiti alla legge. A questo punto i personaggi hanno uno shock emotivo e reagiscono negando categoricamente l’omicidio del quale sono accusati. All’inizio tentano ancora di salvare le apparenze e provano a mantenere sangue freddo e nervi saldi. Man mano che i protagonisti muoiono la tensione aumenta.

I primi due, forse, sono vittima di suicidi e la situazione è ancora anomala, ma pur sempre sotto controllo. Dal terzo cadavere invece è chiaro che nella villa, o da qualche parte sull’isola, c’è un pazzo criminale che ha deciso di uccidere tutti in un gioco crudele. A questo punto lo stress esplode e gli uomini si trasformano in bestie, come fossero in uno zoo. Ciascuno sospetta degli altri, ognuno è logorato dalle proprie paure e l’isteria si impadronisce di tutti, facendoli sprofondare nell’angoscia e nel terrore.

Fino all’epilogo di Vera, l’assassina che aveva commesso l’omicidio più terribile, che si impicca nella sua stanza in preda ai deliri.

La scheda editoriale

  • Titolo: Dieci piccoli indiani
  • Autore: Agatha Christie
  • Casa editrice: Mondadori
  • Collana: Oscar junior
  • Età di lettura: da 10 anni

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