In Febbre 1793 di Laurie Halse Anderson ci racconta un capitolo tragico della storia degli Stati Uniti d’America dal punto di vista di una tredicenne. Nel 1793 la città di Filadelfia, in Pennsylvania, fu colpita da una delle peggiori epidemie della storia. Ad agosto scoppiò un focolaio di febbre gialla, che colpì prima coloro che abitavano al porto e poi si propagò velocissimamente anche tra gli abitanti di altre zone della città.

Chi poté, fuggì: tra costoro, George Washington e Thomas Jefferson. Agli altri toccò una sorte atroce, tanto che spesso la morte fu considerata una vera e propria liberazione.

In soli tre mesi la febbre gialla sterminò quasi 5.000 persone, il 10% della popolazione.

La copertina dell'edizione in lingua originale di Fever 1793
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Il riassunto di Febbre 1793 di Laurie Halse Anderson

Matilde Cook, detta Mattie, vive con la madre Lucille e il nonno, veterano della Guerra di Secessione. Insieme gestiscono una caffetteria e sognano di farla diventare il locale più elegante e meglio frequentato della città. Al Caffè Cook lavorano la cuoca Eliza – una schiava nera che ha comprato la sua libertà – e Polly che è stata compagna di giochi di Mattie. 

I sogni dei Cook si infrangono quando una febbre improvvisa si porta via Polly e molte altre persone che vivono al porto.

Gli avventori del Caffè Cook si dividono in due fazioni: c’è chi dice che si tratta di episodi isolati, frequenti in estate e chi parla, invece, di un virus terribile e incurabile portato dagli immigrati domenicani che vivono ammassati al porto, di sintomi insoliti e terribili, di decine e decine di persone morte nell’arco di poche ore.

Col passare dei giorni il numero dei morti sale vertiginosamente e per i sopravvissuti la città si trasforma in una trappola.

La fuga verso le campagne

Quando anche Lucille si ammala, il nonno e Mattie lasciano Filadelfia e si dirigono in campagna, dove verranno ospitati da un’amica. Durante il tragitto, però, entrambi contraggono il virus e vengono ricoverati nell’ospedale di Bush Hill situato a qualche miglio fuori dalla città.

I giorni della malattia sono terribili: febbre, brividi, nausea, vomito, dolori ovunque che sembrano migliorare entro cinque giorni, e che tuttavia in alcuni sfortunati si ripresentano dopo una giornata di miglioramento, con dolori addominali, danni al fegato che causano ittero ed emorragie.

Mattie teme per se stessa ma soprattutto per il nonno. 

Fortunatamente, nell’arco di alcuni giorni la ragazza si ristabilisce completamente; il nonno, invece, continua ad accusare sintomi. Sviluppati gli anticorpi conto la febbre gialla, decidono comunque di rientrare in città.

Il rientro in città

La situazione che trovano è sconfortante: i malati vengono abbandonati alla loro sorte perfino dai familiari; le fosse comuni straboccano; i morti restano in strada per giorni; i sopravvissuti vivono nel panico e nell’illegalità; bande di disperati in cerca di cibo e di oggetti preziosi saccheggiano le case.

Il Caffè Cook è stato messo in quarantena e appeso alla porta c’è uno straccio giallo, in modo che tutti sappiano che il locale è appestato. 

Sono tempi duri – dice Mattie. Sembra che tirino fuori il meglio e il peggio della gente attorno a noi.

Mattie e il nonno riprendono possesso della loro proprietà e sono decisi a ricominciare, ma una notte sono vittime di un tentativo di saccheggio. Durante la colluttazione il nonno rimane ucciso.

Mattie non si perde d’animo e va in cerca di Eliza. La trova a casa sua, al porto, in compagnia del fratello – rimasto vedovo, con due figli piccoli – e  di Madre Smith.

Per un periodo Mattie vive con loro e aiuta i membri della Società degli Africani Liberi nell’attività di assistenza dei malati. E’ in quell’occasione che impara tutto sulla malattia, sui rimedi tradizionali del Dr. Rush e su quelli innovativi del Dr. Devèze.

Quando i nipotini di Eliza si ammalano, le due ragazze lasciano la casa al porto e traslocano al Caffè dove mettono in pratica i rimedi del Dr. Devèze. I piccoli si salvano. 

E’ intanto arrivato l’autunno, con le prime brine. Il focolaio di febbre gialle si spegne. Lucille torna dalla campagna, dove era stata in quarantena. Il mercato cittadino riapre, il Caffè Cook pure. La vita riprende.

La recensione di Febbre 1793 di Laurie Halse Anderson

Febbre 1793 è una bella lettura. La ricostruzione storica del periodo è accurata e resa in modo vivido. Ben delineata l’evoluzione della protagonista, da bambina a giovane donna in grado di sopravvivere agli imprevisti della vita con coraggio e determinazione.

Altro merito dell’autrice è quello di aver approfondito le dinamiche sociali che si innescano durante l’epidemia. Nel 1793 si credeva che la febbre gialla fosse portata dagli immigrati domenicani che vivevano nelle vie adiacenti al porto. Impegnati a respingere i profughi e a contenerli nel ghetto del porto, nessuno cercò i veri motivi della diffusione del morbo: sporcizia, scarsa igiene personali, acque stagnanti e putride.

Oggi sappiamo che la malattia è trasmessa dalla puntura della zanzara Aedes e che la lotta alla febbre gialla (o tifo itteroide, ittero tifoide, vomito nero o febbre delle Antille) si basa sul controllo della nettezza urbana e dell’acqua stagnante.

In alcuni casi anche recenti, purtroppo, la paura ci fa puntare il dito contro gli stranieri e ci fa perdere il senso della misura e della realtà.

La scheda editoriale

  • Titolo: Febbre 1793
  • Autore: Laurie Halse Anderson
  • Casa editrice: Salani
  • Età di lettura: dai 13 anni
  • Consiglio di lettura: Per chi vuole leggere un romanzo storico che descrive molto bene le dinamiche sociali che si innescano durante un’epidemia.

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