La storia che sto per svelarvi ha inizio nel 1931 sotto i tetti di Parigi. Qui incontrerete un ragazzo di nome Hugo Cabret, che un giorno, tanto tempo fa, scoprì un misterioso disegno che cambiò la sua vita per sempre.
Ma prima che voltiate pagina, voglio che immaginiate voi stessi, seduti nel buio, come all’inizio di un film. Sullo schermo sorgerà il sole fra pochi istanti e la macchina da presa inquadrerà una stazione nel cuore della città. In un atrio pieno di gente vedrete finalmente un ragazzo che si muove rapidamente. Seguitelo, perché quello è Hugo Cabret. La sua mente è piena di segreti e sta aspettando che la sua storia abbia inizio. Professor H. Alcofrisbas
E’ difficile parlare de La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick con l’intenzione di dire qualcosa che non sia già stato detto. La ricerca del titolo del libro su Google mi propone 125 mila pagine. Prima fra tutte, quella di Wikipedia che dedica al libro una voce, inequivocabile segno di fama e celebrità.
Le altre parlano dei temi più disparati suggeriti dalla lettura.
Ad esempio, quanto deve l’autore ai feuilletons – i romanzi popolari ottocenteschi – con le identità nascoste o perdute, le sparizioni improvvise, i misteri. Quanto si è ispirato a Dickens per la figura dell’orfano che se la cava in un mondo di adulti spietati e minacciosi e a Victor Hugo per la figura dell’emarginato che vive nascosto in un enorme edificio. Quanto deve a E.T.A. Hoffmann per il tema degli automi.
Altre pagine focalizzano sull’omaggio del suo autore al cinema dei pionieri, come Méliès e sui rapporti del libro con la trasposizione cinematografica che ne ha fatto Martin Scorsese.
Altre ancora sulla rappresentazione del tempo, quello reale, scandito dagli orologi, il tempo passato, il tempo interiore dei protagonisti.
Tanti altri sono i temi trattati nelle pagine che potete leggere in rete e non mi interessa riprenderli, perché in molti casi sono analizzati e sviscerati molto meglio di quanto potrei farlo io. Ecco piuttosto il riassunto.
Il riassunto di La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick
Hugo è orfano e poverissimo. Vive con lo zio Claude – quel che si dice una vecchia spugna – che lo sfrutta per regolare gli orologi della Gare de Montparnasse, una delle stazioni ferroviarie di Parigi.
Nonostante abiti con lo zio, Hugo è privo di figure di riferimento e di soldi, e ha un disperato bisogno di entrambi. In qualche modo riesce a sopperire alla mancanza di denaro, ma non a superare il trauma della morte del padre. ciò che lo tiene vivo è portare avanti il progetto che condividevano: la riparazione di un misterioso automa, trovato nel magazzino di un museo. Per fare questo, Hugo consulta il taccuino pieno di disegni e didascalie che suo padre gli ha lasciato in punto di morte.
La riparazione necessita di tanti pezzi di ricambio, che Hugo non ha e certo non può acquistare. Quindi che fa? Una cosa molto semplice: ruba gli ingranaggi dei giocattoli meccanici in vendita in un chiosco della stazione.
Il giocattolaio non la prende benissimo. Anzi: fa la posta a Hugo fino a quando non lo coglie in flagrante. In cambio della promessa di non denunciarlo all’Ispettore Ferroviario, distrugge il taccuino e lo costringe a pulire il chiosco e riparare tutti i giocattoli di cui ha rubato i pezzi. Hugo è disperato, ma alla fine accetta il ricatto.
Al chiosco Hugo conosce la figlia adottiva del giocattolaio, Isabelle, anche lei orfana. Ben presto i due ragazzi diventano amici e condividono il poco tempo che a Hugo rimane libero tra la messa a punto di un orologio e la riparazione di un gioco a molla.
Grazie a Isabelle Hugo scopre la magia del cinematografo, viene a sapere che il taccuino non è stato distrutto, ma è conservato a casa del giocattolaio, ed entra in possesso di una chiave a forma di cuore necessaria per sbloccare il meccanismo che regola l’automa.

Siamo al punto di svolta della vicenda: Hugo riesce a ricostruire l’automa anche senza le spiegazioni contenute nel taccuino e lo aziona grazie alla chiave di Isabelle. L’automa non scrive nulla, ma disegna un’immagine del film Viaggio sulla Luna e si firma col nome di Georges Méliès.
La situazione precipita. Isabelle crede che l’automa appartenga al padre adottivo – il suo papà Georges, cioè Georges Méliès – e che Hugo l’abbia rubato. Scappa a casa, inseguita da Hugo, che nel tentativo di fermarla si schiaccia le dita nella porta di casa. La moglie di papà Georges, Jeanne, fa accomodare il ragazzo, lo medica e chiarisce la situazione.
Papà Georges è stato un famoso cineasta francese, come dimostrano i bozzetti conservati da Jeanne in una scatola nascosta sopra l’armadio di casa. Da tanto tempo però, si è ritirato dalle scene ed è caduto in uno stato di profonda prostrazione.
Scioglimento della vicenda: papà Georges rientra a casa, vede i disegni, viene colto dalla disperazione e ha una delle sue crisi distruttive.
Hugo è costretto a lasciare la famiglia Méliès. Si reca all’Accademia Cinematografica francese, dove Etienne, studente e cineoperatore che Hugo aveva conosciuto grazie a Isabelle, gli mostra un libro sulla vita e le opere di Méliès del professor René Tabard.
Hugo rivela ai due studiosi che Méliès non è morto, come tutti credono, e contemporaneamente convince papà Georges a rilasciare un intervista nel corso della quale racconterà cosa ne è stato della sua esistenza partendo dalla sua presunta morte.
La Grande Guerra l’aveva mandato in rovina e contemporaneamente Isabelle, figlia del suo fidato assistente, era rimasta orfana. Disperato, era stato costretto a vendere le sue pellicole a una ditta che le aveva trasformate in tacchi per scarpe, con i soldi guadagnati aveva comprato il chiosco dei giocattoli e si era ritirato con la moglie con la promessa di non raccontare mai a nessuno, neppure a Isabelle, la sua vita precedente.
Gran finale: Hugo cerca di recuperare l’automa per portarlo da papà Georges, ma è scoperto e inseguito dall’Ispettore Ferroviario. L’automa viene distrutto. Hugo è catturato e imprigionato ma viene salvato da papà Georges, che lo adotta e gli insegna i trucchi dell’illusionismo.
Per il resto della vita, Hugo sarà conosciuto come il professor Alcofrisbas, l’illusionista che ha creato un automa in grado di scrivere e disegnare tutta questa storia.
La recensione di La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick
La straordinaria invenzione di Hugo Cabret non è un silent book ma è come se lo fosse. Le immagini (bellissime, realizzate a matita, in bianco e nero, in chiaro scuro) sono sufficienti a narrare la storia e le parole sono “un di più”. In questo, il libro è stato qualcosa di veramente nuovo, originale, a suo modo epocale nel panorama della letteratura per ragazzi.
Vi propongo un esperimento: sfogliate il libro guardando solo le tavole. Rifarete così la stessa esperienza che facevate da bambini, quando leggevate gli albi illustrati riuscendo a capire la storia attraverso le sole immagini.
La scheda editoriale
- Titolo: La straordinaria invenzione di Hugo Cabret
- Autore: Brian Selznick
- Casa editrice: Mondadori
- Età di lettura: dagli 11 anni
- Consigli di lettura: A tutti coloro che amano la meraviglia del cinema e che vogliono leggere un libro incredibile sui magici inizi della Settima Arte
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